Responsabile il professionista che sbaglia la diagnosi accorciando la vita del paziente: le possibilità statistiche di sopravvivenza rilevano solo ai fini della quantificazione del danno, ma non possono pregiudicare il risarcimento in sé per sé.
Anche se la diagnosi clinica non lascia scampo al paziente, il medico che abbia eseguito un intervento o una cura in modo non corretto deve comunque risarcire il paziente (o, nel caso di decesso di quest’ultimo, gli eredi) per la perdita di chance di sopravvivenza.
Scatta, infatti, il ristoro del danno tutte le volte in cui il paziente, a causa dell’erroneo intervento chirurgico, ha perso le possibilità di sopravvivenza che gli sarebbero spettate se l’intervento fosse stato eseguito correttamente, anche se l’operazione è praticata solo per rallentare l’esito certamente infausto di una malattia.
A dirlo è la sentenza della Cassazione civile , sez. III, sentenza 27.03.2014 n° 7195, secondo cui va sempre garantito “il bene intermedio” quale diritto a mantenere integre le possibilità rispetto al risultato utile prefigurato.
La vicenda
A una donna malata di cancro era stato tolto un solo ovaio, con una scelta di chirurgia conservativa ingiustificata data l’età ma soprattutto lo stadio avanzato della malattia della paziente, che avrebbe invece suggerito un intervento radicale.
Proprio la fase terminale della patologia aveva indotto i giudici di primo e secondo grado a negare il risarcimento in base a un calcolo statistico. Non è stata, però, dello stesso avviso la Cassazione.
La motivazione della sentenza
Secondo la Suprema Corte, in tema di perdita di chance, il paziente ha diritto a mantenere intatte le proprie chances (di sopravvivenza), diritto che è diverso da quello della vita o dell’integrità fisica. Dunque, si deve riconoscere la tutela a “un bene intermedio”, come il diritto a mantenere integre le proprie chances, che presuppone il riconoscimento dell’autonomia della chance rispetto al risultato utile prefigurato.
Insomma, la tutela patrimoniale del diritto a mantenere intatte le proprie chance di sopravvivenza è risarcibile in maniera autonoma rispetto al diritto alla vita o all’integrità fisica.
Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale nei confronti degli aventi diritto dovrà essere messo in relazione solo all’anticipazione della morte, a prescindere dai numeri statistici che diano per probabile, comunque, il decesso del paziente. I numeri statistici entrano in gioco solo nella fase della quantificazione del danno.
Insomma, l’accertato erroneo intervento chirurgico ha fatto perdere alla paziente le possibilità di sopravvivenza che le sarebbero spettate se l’intervento fosse stato eseguito correttamente. E ciò deve essere risarcito.