Augurare la morte a qualcuno non è reato. Né ingiuria né minaccia: chi desidera o prevede la morte di una persona non incorre in alcuna condanna. È quanto sancisce la Cassazione con la sentenza del 3 ottobre nr 41190/14, depositata dalla quinta sezione penale. La Corte di legittimità annulla senza rinvio la sentenza del tribunale di Cassino che condannava due imputati alla pena di giustizia per il reato d’ingiuria e minaccia nei confronti di un soggetto. Emerge dalla sentenza che tra la famiglia degli imputati e il soggetto offeso non correva buon sangue: all’epoca in cui furono pronunciate le frasi ingiuriose era in corso una lite giudiziaria fra loro. Per i giudici di Piazza Cavour augurare la morte di qualcuno non costituisce reato.
Non è l’elemento psicologico quello che manca nel delitto di ingiuria contestato agli imputati, ma addirittura l’elemento materiale. «Augurarsi la morte di un’altra persona è certamente manifestazione di astio, forse di odio, nei confronti della stessa persona, ma poiché il precetto evangelico di amare il prossimo come se stessi non ha sanzione penale, la sua violazione è, appunto, penalmente irrilevante. Meno che mai costituisce ingiuria, perché desiderare la morte altrui non sta necessariamente a significare che si intenda offenderne l’onore e il decoro (e che di fatto li si offenda)».
Il fatto che uno degli imputati si sia augurato la morte dell’offeso in un incidente stradale e che l’altro l’abbia prevista quale imminente conseguenza dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute, «rappresentano certamente manifestazioni di scarso affetto nei confronti dell’offeso e, se si vuole, di evidente mancanza di fair play tra avversari processuali, ma i ricorrenti non hanno manifestato l’intenzione di fare alcunché per determinare, anticipare o propiziare la morte della persona». In particolare, uno dei ricorrenti «non aveva promesso al soggetto che si sarebbe attivato per provocare incidenti automobilistici, ma si è augurato che ciò accadesse casualmente a opera di terzi (sconosciuti) e ha chiarito che egli, se lo avesse visto steso per terra, non l’avrebbe soccorso, con ciò, al più, preannunciando che si sarebbe reso responsabile di un futuro ed eventuale reato (CdS art. 189, Cp art. 593). L’altra imputata aveva formulato una previsione (e una speranza), certo con animo malevolo, ma di assoluta irrilevanza penale». Dunque, il reato non c’è, per questi motivi, la sentenza va annullata senza rinvio per insussistenza del fatto.