Malattia rara: medico esente da responsabilità se sbaglia la diagnosi

Medico esente da responsabilità se la malattia del paziente è così rara da non poter stabilire una diagnosi precisa. Se il malato riceve cure sbagliate perché i sanitari non sono riusciti a decifrare la patologia di cui è affetto, non ha comunque diritto al risarcimento dei danni subiti.

 Lo sancisce la Cassazione con la sentenza n. 2185, pubblicata oggi dalla terza sezione civile. Piazza Cavour respinge il ricorso di un paziente finalizzato al risarcimento dei danni subiti da trattamenti sanitari sbagliati ricevuti in alcune strutture sanitarie. La Corte d’appello dell’Aquila accoglieva l’istanza del ricorrente limitatamente alla mancata previsione dell’obbligo di corresponsione degli interessi, ma nel resto il ricorso veniva respinto. Spiega la Corte territoriale che la patologia di cui risultava affetto il ricorrente era particolare al punto che fosse difficile stabilire una diagnosi. Per questo motivo, ai medici non poteva essere attribuita alcuna responsabilità, avendo svolto tutte le analisi del caso. «Patologia linfomatosa», questa la conclusione cui giungono i medici che decidono di trasferire il paziente in un altro reparto della struttura ospedaliera e di asportargli la milza.

 Contro la sentenza della Corte territoriale, il paziente decide di depositare gli atti al Palazzaccio. Il ricorso, però, è infondato. Spiega la Corte di legittimità che «in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno».  In questo caso, il giudice di merito «ha individuato una precisa responsabilità dei sanitari in relazione alla decisione di procedere all’asportazione della milza in assenza di una certezza diagnostica a carico del paziente». Allo stesso modo, però, «ha escluso ogni collegamento causale tra la splenectomia e gli eventi che alla stessa hanno fatto seguito, in quanto «la sintomatologia poliviscerale presentata dal ricorrente non rientra tra le complicanze della leishmaniosi viscerale, ma è costituita da patologie ad eziologia autonoma e comunque completamente indipendente dalla leishmaniosi». Questo spiega il rigetto del ricorso da parte della Corte suprema.