
Con l’interessante ordinanza n. 3763 del 12.2.2021, la Suprema Corte, oltre a ribadire le principali condizioni in presenza delle quali possa configurarsi l’ipotesi di “rischio elettivo”, ha enunciato il principio secondo cui anche nell’ambito di un contratto di “fornitura di lavoro temporaneo” (che deve ritenersi, di somministrazione ex art. 23 d. lgs. 10.9.2003 n. 276), grava sul committente sia l’onere di protezione, sia quello di formazione dei lavoratori. Ed invero, l’impresa utilizzatrice deve osservare nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti.
Indice
Il casus decisus
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae spunto dalla domanda proposta dall’INAIL nei confronti della società committente che si è avvalsa delle prestazione fornite da un operaio somministrato in forza di un contratto di fornitura di lavoro temporaneo, il quale, dopo essere rimasto coinvolto in un grave infortunio, veniva, successivamente, indennizzato da suddetto istituto previdenziale per l’importo complessivo di euro 373.787,14; Parte attrice concludeva, quindi, richiedendo la condanna della società convenuta alla rifusione del suddetto importo.
La società convenuta si costituiva in giudizio contestando, preliminarmente, la pretesa attorea e chiamando in manleva il proprio assicuratore, affinché fosse tenuta indenne in caso di accoglimento della domanda attorea.
Il Tribunale rigettava la domanda proposta dall’INAIL, ritenendo non sufficientemente provata la circostanza secondo l’infortunio de quo fosse ascrivibile ad un difetto di manutenzione dei macchinari cui l’operaio era stato addetto.
l’INAIL proponeva, dunque, appello avverso la sentenza di prime cure; la Corte d’appello, ritenendo fondati i motivi di gravame, condannava la società committente a rimborsare l’INAIL dell’importo sopra indicato, e l’ente assicurativo a manlevare, a sua volta, la società appellata.
La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dall’ente assicuratore, con ricorso fondato su due motivi, cui ha resistito con controricorso l’INAIL; la società committente, dal canto suo , proponeva ricorso incidentale fondato su tre motivi.
I principi enunciati dalla Suprema Corte
La Corte Suprema, con questa interessante ordinanza, ha ulteriormente ribadito un principio di diritto secondo il quale “ …. Il datore di lavoro…, giusta la previsione di cui all’art. 2087 c.c., ha il dovere di prevenire anche le imprudenze dei suoi lavoratori: vuoi istruendoli adeguatamente, vuoi controllandone l’operato, vuoi dotandoli di strumenti e mezzi idonei e sicuri…..”.
La Suprema Corte ha, preliminarmente, confermato il criterio che ha assunto il nome di “rischio elettivo”, che pone sul lavoratore la responsabilità nella causazione dell’infortunio e, nel contempo, determina la conseguente esenzione da qualsivoglia colpa del datore di lavoro.
Segnatamente, la Suprema Corte ha espressamente statuito che: “Tali princìpi sono più che consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la responsabilità esclusiva del lavoratore per c.d. “rischio elettivo” sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere” (così Sez. L – , Sentenza n. 798 del 13/01/2017, Rv. 642508 – 02: ma nello stesso senso si vedano anche Sez. L, Sentenza n. 7313 del 13/04/2016, Rv. 639304 – 01, secondo cui il c.d. “rischio elettivo” è solo “quello che, estraneo e non attinente all’attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella ad essa inerente”; Sez. L, Sentenza n. 12779 del 23/07/2012, Rv. 623308 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21694 del 20/10/2011, Rv. 620243 – 01)”.
Si è perciò esclusa – proseguono i giudici di legittimità: ” la configurabilità d’una colpa a carico di lavoratori che non si siano attenuti alle cautele imposte dalle norme antinfortunistiche od alle direttive dei datori di lavoro, perché proprio il vigilare sul rispetto di tali norme da parte del lavoratore è l’obbligo cui il datore è tenuto, in quanto “il datore di lavoro ha il dovere di proteggere l’incolumità del lavoratore nonostante la sua imprudenza o negligenza‘ (così, testualmente, Sez. L, Sentenza n. 1994 del 13/02/2012, Rv. 620913 – 01; ed ancora da ultimo, in tal senso, Sez. L – , Sentenza n. 5419 del 25/02/2019, secondo cui “l’omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all’adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell’adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi del cd. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l’attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso’)“.
Con riferimento, poi, alla regolamentazione giuridica della sfera di responsabilità per il fatto lesivo in ipotesi di appalto di manodopera per l’esecuzione di opere.
Nel caso rimesso all’attenzione della Cassazione, infatti, l’infortunio subito dal lavoratore, in regime di “somministrazione di manodopera”, il quale prestava la sua attività in un opificio di proprietà del soggetto committente con l’utilizzo di mezzi e strumenti di proprietà di quest’ultimo. i Giudici di legittimità hanno quindi riconosciuto la responsabilità dell’evento lesivo in capo appunto alla società committente per omessa adozione di cautele infortunistiche.
Giova sul punto rammentare che l’istituto in esame, già regolamentato dal D. Lgs. 276/2003, è stato interessato da una completa sua rivisitazione dal Capo IV ( articoli 30-40 ) del Decreto Legislativo 15 giugno 2015 n.81, attuativo del più noto Jobs Act e recante la “ Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n.183 ” ( 1 ) che all’art.30 ha portato alla nuova definizione di tale contratto secondo la quale “il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003 , mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.”
Venendo all’arresto in commento, a parere della Suprema Corte la Corte d’appello aveva ritenuto che il lavoratore infortunato fosse dipendente di una società (la “TF”) cui la committente aveva appaltato l’esecuzione di opere all’interno del suo opificio.
Ne ha tratto la conseguenza che la committente dovesse rispondere ai sensi dell’art. 2087 c.c. per l’omessa adozione di cautele infortunistiche. La ricorrente, nel formulare la propria censura in merito alla violazione dell’art. 2087 c.c., muove invece da un presupposto di fatto diverso: e cioè che la società committente e la TF avessero concluso non un contratto di appalto, ma un contratto di “fornitura di lavoro temporaneo” (deve ritenersi, di somministrazione ex art. 23 d. lgs. 10.9.2003 n. 276), il quale addossa al committente solo oneri di protezione, ma non di formazione dei lavoratori. “La censura – afferma in maniera rigorosa la Suprema Corte – è dunque infondata innanzitutto perchè si fonda su un presupposto erroneo: e cioè che nel contratto di appalto di lavori da eseguirsi all’interno dell’opificio del committente, quest’ultimo non abbia oneri informativi verso i lavoratori…”.
Gli Ermellini hanno poi concluso affermando che: “In secondo luogo, la censura è infondata perché la Corte d’appello, dopo avere affermato che la società committente aveva l’onere di informare i lavoratori della pericolosità e delle modalità d’uso dei macchinari, con una seconda ratio decidendi ha aggiunto che comunque quella macchina doveva essere malfunzionante, perché in caso diverso non avrebbe dovuto consentire l’apertura del “cancelletto” di protezione e l’accesso del lavoratore alle parti in movimento. Questa seconda ratio decidendi non viene censurata dal ricorso, né del resto avrebbe potuto esserlo, in quanto ha ad oggetto la valutazione di un fatto”.
Alla luce delle superiori argomentazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale proposto dalla compagnia assicuratrice, con condanna di quest’ultima alla rifusione in favore di INAIL delle spese del presente giudizio di legittimità.