
La Suprema Corte con la sentenza n. 17663 del 2/07/2019 ha elaborato il principio secondo cui L’ordinanza di assegnazione del credito pignorato è censurabile mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 2, c.p.c., sia in caso di mancata dichiarazione del terzo debitor debitoris, sia nell’ipotesi di erronea interpretazione della dichiarazione resa
Nei pignoramenti presso terzi, l’impugnazione prevista dall’art. 548 c.p.c., comma 2, e dall’art. 549 c.p.c., concernenti rispettivamente l’ordinanza pronunciata in caso di mancata dichiarazione del terzo e quella con cui il giudice dell’esecuzione risolve le contestazioni sorte sulla dichiarazione, si deve proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione, nelle forme e nei termini previsti dall’art. 617 c.p.c., comma 2.
Indice
La vicenda
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte prende le mosse dalla procedura esecutiva avviata da un lavoratore dipendente tesa al recupero di un credito di lavoro nei confronti del proprio datore, sottoponendo a pignoramento ex art. 543 c.p.c. le somme alla stesso dovuta dal altra società. I terzi pignorati rendevano dichiarazione negativa a mezzo PEC e lettera raccomandata ma, ciò nonostante, il giudice dell’esecuzione procedeva all’assegnazione delle somme pignorate con ordinanza. A seguito della notifica dell’ordinanza, i terzi pignorati proponevano opposizione ai sensi dell’art. 617, comma 1, c.p.c. con atto di citazione.
Il Tribunale aveva dichiarava inammissibile l’opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione, rilevando come la stessa doveva essere proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione nel rispetto dei termini di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c.
Avverso tale decisione gli opponenti hanno proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha rammentato che il rimedio da utilizzare per contestare l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c. è l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c., da proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine di venti giorni dalla conoscenza legale del provvedimento.
La questione risolta dalla Suprema Corte attiene alla corretta individuazione degli strumenti posti a tutela del terzo pignorato avverso l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emessa dal giudice dell’esecuzione ai sensi degli artt. 548 o 549 c.p.c.
Come noto, nell’espropriazione mobiliare presso terzi si richiede la collaborazione fattiva del debitor debitoris, il quale ha l’onere di rendere la dichiarazione sull’esistenza e sulla consistenza del credito pignorato secondo le modalità richieste dall’art. 547 c.p.c. (PEC o raccomandata al creditore pignorante) ovvero comparendo all’udienza successivamente fissata, in caso di mancata dichiarazione con le suddette modalità telematiche o postali. Nel caso in cui il terzo dovesse non rendere la dichiarazione neppure all’udienza successivamente fissata dal giudice dell’esecuzione e notificata al terzo dal creditore pignorante, il credito pignorato si intende non contestato e può essere assegnato, salvo esazione, purché le allegazioni del pignorante ne consentano l’identificazione.
Quando, invece, non operi la non contestazione e occorra accertare l’esistenza e l’entità del credito, su istanza di parte il giudice dell’esecuzione attiva un procedimento incidentale all’espropriazione presso terzi, nel quel è necessariamente coinvolto il terzo quale litisconsorte necessario e che si conclude con l’accoglimento o con il rigetto dell’istanza di assegnazione, senza efficacia di giudicato sostanziale, ma solo ai fini della procedura e dell’eventuale formazione di un titolo esecutivo a carico del terzo.
Gli artt. 548 e 549 c.p.c. hanno subito numerose modifiche: in principio, infatti, la legge non distingueva il caso dell’omessa dichiarazione e quello della dichiarazione reticente o comunque di contenuto contestato, poiché il creditore per ottenere una pronuncia sull’an e sul quantum del credito pignorato, era tenuto ad instaurare un ordinario giudizio di accertamento; nel corso del tale giudizio la condotta del terzo che, avendo omesso di rendere la dichiarazione innanzi al giudice dell’esecuzione, non l’avesse resa neppure nel corso del primo grado, poteva essere equiparata alla mancata risposta nel caso di interrogatorio formale (art. 548 c.p.c., comma 2).
Nel caso sottoposto alla Corte di cassazione l’unica modalità di impugnazione dell’ordinanza di assegnazione (sia ove resa nel silenzio del debitor debitoris, sia ove emanata all’esito della contestazione sul contenuto della dichiarazione) è l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c., proposta entro venti giorni al giudice dell’esecuzione che ha emesso l’ordinanza impugnata.
Di recente la stessa Suprema Corte ha ricordato (sent. n. 5489 del 26/02/2019) come l’ordinanza di assegnazione di un credito, costituendo l’atto conclusivo del procedimento di esecuzione forzata per espropriazione di crediti, ha natura di atto esecutivo. Pertanto, essa deve essere impugnata con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi tutte le volte in cui si facciano valere vizi, ancorché sostanziali, attinenti all’ordinanza di assegnazione oppure ai singoli atti esecutivi che l’hanno preceduta.
A parere della Suprema Corte, quindi, correttamente la Corte territoriale aveva individuato nel ricorso al giudice dell’esecuzione l’esatta forma di proposizione dell’opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c..