LE DIFFERENZE TRA LAVORO AUTONOMO E LAVORO SUBORDINATO SECONDO LA CASSAZIONE

Con la sentenza n. 22293 del 5/09/19 la Suprema Corte ha fornito ulteriori indicazioni in ordine alla questione concernente la distinzione tra  lavoro autonomo e lavoro dipendente. Nello specifico, la Cassazione ha precisato che il rapporto di subordinazione non è escluso da eventuali margini di autonomia di cui può godere il dipendente che svolge prestazioni di natura intellettuale e/o professionale oppure prestazioni elementari, ripetitive, che non richiedono un potere direzionale costante. A parere dei giudici di legittimità, in questi casi occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari che globalmente considerati costituiscono indizi probatori della subordinazione.

La vicenda

Il caso rimesso all’attenzione dei giudici di legittimità trae spunto dall’azione esercitata da un lavoratore dipendente nei confronti del suo ex datore di lavoro tesa ad accertare la natura subordinata del rapporto che li legava. L’attore domandava altresì la condanna della parte datoriale al pagamento delle differenze retributive e del trattamento di fine rapporto.

La domanda veniva rigettata dal primo giudice, mentre la Corte di Appello accoglieva parzialmente il gravame proposto dal dipendente evidenziando come dalla documentazione acquisita in atti fosse emerso che il lavoratore prestasse la propria attività, in maniera continuativa, dalla mattina e sino alle ore pomeridiane; tuttavia se da un verso nulla era stato provato in ordine al concreto esercizio di un potere gerarchico e disciplinare da parte dell’appellato, dall’altro, per la Corte territoriale era emerso il ruolo direttivo di quest’ultimo, che veniva condannato, nella qualità di titolare dell’azienda, al pagamento, in favore del dipendente, della somma di euro 16.020,70, di cui euro 1262,13 per il TFR maturato.

L’appellato soccombente impugnava la sentenza e proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte.

La decisione della Suprema Corte

Secondo la Cassazione, il rapporto di subordinazione non è escluso da eventuali margini di autonomia, iniziativa e discrezionalità di cui può godere il dipendente: questo principio si è affermato con riguardo a prestazioni di natura intellettuale e/o professionale o di elevato contenuto specialistico, oppure, per ragioni opposte, a prestazioni estremamente elementari, ripetitive, predeterminate nelle modalità d’esecuzione, e che per ciò solo non richiedono un potere direzionale costante; nel primo caso, è stato affermato il principio secondo cui “quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione” (cfr. Cass. 19 aprile 2010, n. 9252 – che riprende Cass. Sez. Un., 30 giugno 1999, n. 379).

Ha proseguito la Suprema Cortenella specie risultano valutati tutti tali elementi, avuto riguardo alla rilevata attività di direzione posta in essere dal titolare sia con riferimento alla sede di lavoro del C., che alle mansioni da svolgere, con indicazione degli immobili da visionare, all’osservanza dell’orario di lavoro ed all’utilizzo di arredi e strumenti di lavoro facenti parti dell’organizzazione dell’Agenzia, che si avvaleva di diversi collaboratori, dei quali era sistematicamente coordinata la attività per il buon funzionamento della struttura”.

Ciò posto, i giudici di legittimità non hanno ritenuto che l’impugnato provvedimento fosse carente quanto al riscontro della sussistenza di elementi sussidiari – quali la previsione di un compenso fisso, l’orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonché il collegamento tecnico, organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali – che costituiscono indici rivelatori della natura subordinata del rapporto, anche ove svolto per un arco temporale esiguo; ebbene, a parere della Cassazione un apprezzamento complessivo era stato fatto dalla Corte territoriale, avendo la stessa correttamente rilevato come la documentazione esibita avesse consentito di accertare la presenza di una complessa struttura organizzativa aziendale, nella quale il resistente risultava stabilmente inserito.

In forza di tali argomentazioni, gli Ermellini hanno dunque rigettato il ricorso, con la condanna del ricorrente soccombente.