Indennizzo per danno da vaccino anche per il paziente operato all’estero

Il paziente che subisce un danno da vaccino o da trasfusione di sangue infetto matura il diritto all’indennizzo anche qualora sia stato sottoposto a un’operazione effettuata all’estero, a condizione che il cittadino non abbia potuto operarsi in Italia a causa delle inefficienze del Servizio Sanitario Nazionale.

Tanto è stato precisato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 5984/2017, la quale in questo modo ha esteso le tutele previste in caso di patologie derivanti da vaccini o emotrasfusioni anche a favore del cittadino italiano operato all’estero.

Al tal proposito, giova rammentare che la legge prevede il diritto all’indennizzoa favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni.

I soggetti che possono accedere alla misura risarcitoria, consistente nell’assegno periodico reversibile per 15 anni, sono:

  • chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per leggeo per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica: tali soggetti hanno anche diritto ad un assegno una tantum pari al 30% dell’indennizzo per il periodo trascorso tra la data di manifestazione della patologia e quella di ottenimento del ristoro;
  • soggetti che risultino contagiati da infezioni da HIVa seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati, nonché agli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da HIV;
  • soggetti che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali;
  • persone non vaccinate che abbiano riportato, a seguito ed in conseguenza di contatto con persona vaccinatalesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica;
  • persone che, per motivi di lavoro o per incarico del loro ufficio o per potere accedere ad uno Stato estero, si siano sottoposte a vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie, risultino necessarie;
  • soggetti a rischio operanti nelle strutture sanitarie ospedaliere che si siano sottoposti a vaccinazioni anche non obbligatorie.

L’indennizzo decorre dal primo giorno successivo a quello di presentazione della domanda.

Qualora a causa del vaccino o  patologie contratte sia derivata la morte, spetta, in sostituzione dell’indennizzo, un assegno una tantum da erogare ai soggetti a carico, rispettando il seguente ordine: coniuge, figli minori, figli maggiorenni inabili al lavoro, genitori, fratelli minori, fratelli maggiorenni inabili al lavoro.

Se la vittima deceduta era minorenne l’assegno spetta ai genitori o a chi esercita la responsabilità parentale.

I soggetti interessati ad ottenere l’indennizzo devono presentare apposita domanda al Ministro della Salute entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV.

I termini decorrono dal momento in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno.

Il giudizio medico sulla domanda e la documentazione allegata è espresso da un’apposita commissione medico ospedaliera presso il Ministero della Salute.

Essa, in concreto, giudica sull’esistenza o meno del nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati o il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio e la menomazione dell’integrità psico-fisica o la morte.

La commissione redige un verbale degli accertamenti eseguiti e formula il giudizio diagnostico sulle infermità e sulle lesioni riscontrate.

Ove il parere della Commissione medica risulti negativo, l’interessato può proporre ricorso amministrativoal Ministro della Sanità. Detto ricorso deve essere presentato entro trenta giorni dalla notifica o dalla piena conoscenza del giudizio stesso.

Entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, il Ministro della Sanità, sentito l’ufficio medico-legale, decide sul ricorso stesso con atto che è comunicato al ricorrente entro trenta giorni.

La decisione del Ministero può essere impugnata dinanzi al giudice ordinario competente entro un anno dalla comunicazione o, in difetto, dalla scadenza del termine previsto per la comunicazione stessa.