È responsabile penalmente il proprietario dei cani per la mancata pulizia degli escrementi che provocano odori così cattivi da disturbare i vicini. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 45230/14, depositata oggi dalla terza sezione penale. Con la pronuncia, gli “ermellini” dichiarano inammissibile il ricorso di un imputato, condannato dal Tribunale di Reggio Emilia a cento euro di multa, per aver commesso il reato previsto dall’articolo 674 Cp (getto pericoloso di cose). L’imputato, padrone di diversi cani, non provvedeva a pulire i recinti nei quali custodiva gli animali e i vicini di casa si lamentavano dei cattivi odori provenienti dagli escrementi. Il proprietario ricorreva, ma il verdetto della Cassazione è infausto. Si legge nelle motivazioni dei giudici di Piazza Cavour che la penale responsabilità dell’imputato si è fondata sulle dichiarazioni di una vicina, la cui abitazione era adiacente all’appartamento del ricorrente. Secondo le sue affermazioni, la situazione era diventata «intollerabile» a causa dei cattivi odori e del continuo abbaiare degli animali. Chiesto più volte l’intervento del personale dell’Asl, si era accertata «la presenza di cinque cani, situati nelle immediate vicinanze della recinzione dell’edificio condominiale confinante, ed era stato rilevato un odore abbastanza sgradevole». Per il Palazzaccio, il proprietario degli animali non sfugge alla responsabilità penale.
Il Tribunale giungeva ad affermare la penale responsabilità dell’imputato con riferimento ai reati previsti dall’articolo 674 e 659 Cp (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). Per quanto riguarda il reato previsto dall’articolo 674, «la configurabilità della fattispecie doveva ritenersi integrata sia per l’entità delle esalazioni maleodoranti, determinate dalla presenza di più animali nel cortile dell’imputato e imputabili a quest’ultimo e sia per l’evidente superamento della richiesta tollerabilità, in ragione degli effetti provocati da tali esalazioni».
Quanto al reato previsto dall’articolo 659 Cp, il Tribunale ha osservato che, «se è vero che la condotta produttiva di rumori deve incidere sulla tranquillità pubblica e che la sola parte civile ha presentato querela e intrapreso specifiche azioni nei confronti dell’imputato, è altrettanto vero che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo a essere risentito da un numero indeterminato di persone, come era infatti accaduto nel caso di specie posto che, secondo quanto riferito dal teste, vari erano stati i condomini che si erano lamentati delle modalità di tenuta dei cani, pur se, dopo che si era discusso della possibilità di intraprendere azioni giudiziarie e delle spese da sostenere, l’assemblea condominiale aveva deciso, a maggioranza di non procedere in via giudiziale, non incidendo ciò sulla potenzialità diffusiva del disturbo e non escludendo, quindi, l’esistenza del reato». La Suprema dichiara inammissibile il ricorso.