
Non rileva se l’infezione contratta a causa della trasfusione di sangue infetto sia stata scoperta dalla scienza dopo diversi anni dal contagio: il Ministero della Salute sarà, in ogni caso, ritenuto responsabile poiché grava sullo stesso l’obbligo di garantire specifici controlli sulla sicurezza del sangue utilizzato per fini terapeutici.
Questo è il principio enunciato dalla Suprema Corte, la quale, con l’ordinanza n. 4995 del 21/2/2019è tornata nuovamente sulla questione riguardante il risarcimento dei danni derivanti dalla trasfusione di sangue infetto. In particolare, i giudici di legittimità,
La vicenda
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione è scaturito dalla domanda di risarcimento proposta da una donna che nel 1983, durante un’operazione chirurgica, venne sottoposta alla trasfusione di cinque sacche di sangue, risultato poi infetto.
Il Giudice di primo grado, prima, e la Corte di Appello, poi, rigettarono la richiesta risarcitoria, con la motivazione che il virus HCV non fosse ancora conosciuto all’epoca del contagio, poiché scoperto solo nel 1988, anno in cui era divenuto disponibile l’apposito test diagnostico.
La paziente ha dunque proposto ricorso innanzi alla Suprema Corte.
La Cassazione ha accolto il ricorso, evidenziando come il Ministero della Salute fosse comunque tenuto a esercitare un’attività di controllo e di vigilanza sulla pratica terapeutica di trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, rispondendo a titolo di responsabilità extracontrattuale dei danni conseguenti a epatite e a infezione da Hiv verificatisi a causa dell’omessa o inidonea sorveglianza.
A sostegno della propria decisione, gli Ermellini hanno, in primo luogo, richiamato un celebre arresto delle Sezioni Unite secondo cui già a partire dalla conoscenza dell’epatite B (1978) la pubblica amministrazione era ritenuta responsabile anche per il contagio di altri virus diffusi dal sangue infetto (Hbv e Hcv).
Più precisamente, secondo la Suprema Corte non esistono tre eventi lesivi, autonomi e indipendenti, ma un unico evento dannoso, ossia la lesione dell’integrità fisica del soggetto trasfuso; per cui unico è anche il nesso causale esistente tra sangue infetto e lesione dell’integrità (tale indirizzo ha riformato un precedente orientamento espresso da Cass., 31/5/2005, n. 11609, in base al quale la responsabilità del Ministero dovesse essere esclusa fino all’effettiva conoscenza dei virus dell’HBV, HIV E HCV da parte della scienza medica, cioè, rispettivamente, fino al 1978, 1985 e 1988, in virtù dell’assunto secondo cui il Ministero non poteva conoscere la capacità infettiva dei predetti virus prima ancora della comunità scientifica).
La Corte ha quindi precisato che il Ministero della Salute fosse tenuto – anche anteriormente alle date sopra indicate, a garantire i dovuti controlli sul sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati.