Il Ministero della Salute risponde del mancato controllo su sangue ed emoderivati

Molto spesso i casi di malasanità coinvolgono un singolo medico e/o una struttura sanitaria presso cui il primo esercita la propria attività professionale. Tuttavia, diversi sono i casi in cui il soggetto chiamato a rispondere sia il Ministero della Salute, il quale è tenuto a esercitare un attento controllo su sangue ed emoderivati

Ed invero, rientra nella competenza del predetto Ministero l’esercizio delle attività di controllo e vigilanza sulla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e sull’uso degli emoderivati. In altri termini, quando il Ministero omette di eseguire un attento controllo sulle sacche di sangue e sui gli altri prodotti emoderivati, sarà ritenuto responsabile e, dunque, risponderà del risarcimento dei danni derivanti dalla contrazione di epatite e di infezione del virus Hiv.

Per la Suprema Corte, muovendo dall’epoca di produzione del preparato e tenendo conto della conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto, il Ministero che omette di eseguire i necessari controlli può essere ritenuto responsabile dell’insorgenza della malattia contratta dal soggetto emotrasfuso.

Al tale riguardo, merita particolare menzione il caso del paziente napoletano che ebbe a contrarre l’epatite C poiché nel 1982 fu sottoposto a trasfusione di sangue infetto; ebbene, dopo un giudizio durato complessivamente 35 anni, il cittadino è riuscito a vincere la causa contro il Ministero della Salute.

La vicenda trae origine dall’azione risarcitoria spiegata dall’uomo avverso il dicastero. In primo grado la sua richiesta venne rigettata dal Tribunale, così ebbe a proporre ricorso alla Corte d’Appello, la quale accolse la richiesta del paziente e condannò il Ministero della Salute al pagamento di € 162.014,40. Sennonché, il Ministero propose ricorso per Cassazione, deducendo che nella specie difettava il nesso di causalità tra l’emotrasfusione e la malattia. Nondimeno, la Suprema Corte, con la sentenza n. 22832/2017 decise di condannare il Ministero della Salute al pagamento del risarcimento riconosciuto dalla Corte d’Appello e delle spese di giudizio, in quanto riconobbe in capo all’ente pubblico l’obbligo, di cui all’art. 2043 c.c., di esercitare un’attività di controllo e vigilanza sulla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso di emoderivati. Segnatamente, il Ministero della Salute non era riuscito a dimostrare di avere compiutamente adempiuto agli obblighi previsti dalla legge. Per converso, alcuna responsabilità era stata riscontrata in capo alla struttura sanitaria presso cui erano state effettuate le trasfusioni (nella specie, l’Università Federico II di Napoli)  in quanto le sacche di sangue utilizzate per la trasfusione provenivano dal Ministero e, tra l’altro, nessuna negligenza era stata contestata dal paziente al personale sanitario.