Il decreto ingiuntivo non opposto è equiparato a sentenza passata in giudicato

Mediante l’ordinanza n. 19113/2018 la Corte di Cassazione ha confermato il consolidato orientamento, secondo cui la mancata opposizione all’ingiunzione di pagamento concernente i canoni di locazione arretrati produce conseguenze giuridiche sia in relazione al rapporto di locazione sottostante e al relativo diritto di credito attinente ai canoni rimasti insoluti, che in merito all’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi o compensativi del credito azionato in sede monitoria.

Ed infatti, oggetto del giudizio era non solo la pretesa ed il relativo obbligo azionato in sede monitoria, ma anche l’intero rapporto nel suo complesso e, pertanto, pure l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, dedotti o deducibili.

Ciò in quanto il decreto ingiuntivo non opposto è equiparabile ad una sentenza di condanna passata in giudicato che copre l’esistenza del credito azionato, ma anche tutte le vicende del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotte con l’opposizione.

La vicende sottoposta all’esame della Suprema Corte scaturisce dall’azione spiegata dal curatore fallimentare di una società conduttrice di un immobile con cui conveniva innanzi al Tribunale il locatore chiedendo la risoluzione del contratto di locazione, oltre al risarcimento del danno per inidoneità dell’immobile all’uso, attesa la mancanza della relativa concessione edilizia e del certificato di agibilità.

La domanda veniva accolta in primo grado con declaratoria di risoluzione del contratto, con condanna del risarcimento; avverso la sentenza emanata dal giudice di prime cure il locatore interponeva appello veniva confermata dalla Corte d’Appello. La Corte territoriale riteneva infondata l’eccezione sollevata dal locatore relativa alla formazione del giudicato sulla domanda proposta in primo grado, conseguente alla dichiarazione di improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta in precedenza dal medesimo curatore fallimentare, avverso l’ingiunzione di pagamento di canoni di locazione scaduti e non pagati.

Ricorre per cassazione il locatore soccombente, eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 647 c.p.c.

Preliminarmente il Giudice di legittimità rilevava come la Corte territoriale avesse ritenuto la mancata formazione del giudicato sulla domanda proposta dalla curatela nel precedente giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, posto che la sentenza che aveva definito quel giudizio si era limitata a dichiarare improcedibile l’opposizione e, pertanto, a dichiarare esecutivo il decreto ingiuntivo.

A parere della Corte d’Appello, ciò non avrebbe impedito alla curatela di riproporre la domanda riconvenzionale non coltivata, in considerazione del fatto che l’oggetto del decreto ingiuntivo era solo il pagamento dei canoni di locazione.

Il Supremo collegio ha rammentato che “secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudicato di accoglimento formatosi a seguito della mancata opposizione avverso un decreto ingiuntivo recante intimazione di pagamento di canoni arretrati in relazione ad un rapporto di locazione, non si limita a fare stato, tra le stesse parti circa l’esistenza e validità del rapporto corrente fra le parti e sulla misura del canone preteso, ma anche circa l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi o estintivi, anche non dedotti, ma deducibili nel giudizio d’opposizione, quali quelli atti a prospettare l’insussistenza totale o parziale, del credito azionato in sede monitoria dal locatore a titolo di canoni insoluti, per effetto di controcrediti del conduttore per somme indebitamente corrisposte in ragione di maggiorazioni “contra legem” del canone (Cass. 11 giugno 1998, n. 5801; 24 luglio 2007, n. 16319; 26 giugno 2015, n. 13207; 11 luglio 2017, n. 17049).>>.

Tale orientamento, deriva da quanto statuito dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 26242 e 26243/2014, con riferimento alla diversa ipotesi della domanda di impugnativa contrattuale; più precisamente, le S.U. stabilivano che quando l’oggetto del giudizio era rappresentato da un singolo effetto del rapporto giuridico complesso, quale, ad esempio, la singola coppia pretesa-obbligo, il giudicato aveva ad oggetto l’intero rapporto, e non il singolo effetto. In altri termini, l’accertamento dell’esistenza del singolo effetto, implicando la cognizione dell’intero rapporto complesso, presupponeva l’esistenza di tutti i fatti costitutivi e l’inesistenza di tutti i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, dedotti o deducibili.