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Che cos’è l’usucapione?
L’istituto dell’usucapione è stato compiutamente trattato nel precedente articolo, rubricato “l’acquisto della proprietà per usucapione”, con il quale, oltre ad illustrare le varie tipologie di usucapione, abbiamo cercato di chiarire, mediante esemplificazioni pratiche, qual è la condotta che il possessore deve adottare al fine di usucapire un bene non suo; ebbene, volendo anche in questa sede fornire una sintetica nozione dell’istituto in commento, trattasi di quel meccanismo giuridico (disciplinato dagli artt. 1158 e s.s. c.c.), in virtù del quale la persona che acquista il possesso di un bene altrui in maniera non clandestina, né violenta, utilizzandolo pubblicamente come se fosse suo – a seconda dei casi – per almeno venti, quindici, dieci o tre anni, diventa proprietario del bene.
Pertanto, l’usucapione non opera quando il possesso di un bene sia stato ottenuto in maniera illecita (si pensi all’occupazione abusiva di un immobile o al furto di un orologio) oppure, ancora, quando la detenzione del bene sia prevista e disciplinata da un contratto (es: contratto di locazione o di comodato).
L’ordinamento, dunque, mediante l’istituto in esame, ha voluto predisporre una forte tutela a favore di chi utilizza (e valorizza) il bene altrui atteggiandosi come se fosse il legittimo titolare e, nello stesso tempo, ha inteso penalizzare l’effettivo proprietario, che negli anni ha mostrato un totale e costante disinteresse verso il proprio bene.
Ciò premesso, occorre a questo punto verificare se esiste la possibilità per i figli di usucapire un bene di proprietà dei genitori oppure se, viceversa, soltanto a quest’ultimi sia riconosciuta la facoltà di acquistare, mediante il possesso continuato nel tempo, un cespite di cui i figli risultano essere gli unici titolari.
I figli non possono usucapire i beni dei genitori, a meno che…
È bene sin da subito evidenziare che l’usucapione non può realizzarsi quando il proprietario, pur consapevole che il proprio bene è nella materiale disponibilità di un altro soggetto, ne tollera l’altrui utilizzo per ragioni di parentela o di amicizia; l’art. 1144. c.c. prevede infatti che “Gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso”.
Di conseguenza, applicando tale norma alla questione che ci occupa, il figlio che riesca ad ottenere in prestito dai propri genitori un immobile (perché, ad esempio, ha espresso l’esigenza di andare a vivere da solo o con la sua nuova compagna), difficilmente potrà acquistare a titolo di usucapione tale abitazione, in quanto il padre e la madre, legati al discendente dallo stretto rapporto di parentela, acconsentono a che questi utilizzi il loro bene.
E neanche i genitori possono acquistare per usucapione i beni della prole
Analogo discorso si ha nell’ipotesi in cui siano i genitori a ottenere in prestito l’abitazione di proprietà del figlio: anche a fronte di tale scenario, la materiale disponibilità dell’immobile è concessa dal figlio in favore dei suoi genitori in virtù del forte legame di parentela che li unisce, cosicché il padre e la madre, pur utilizzando il bene per trenta anni non riuscirebbero ad usucapire il bene oggetto di detenzione.
Tuttavia, non è escluso che, in concreto, possano delinearsi delle ipotesi in cui la prole riesca comunque ad usucapire l’unità immobiliare di proprietà dei suoi ascendenti più prossimi (identico discorso vale per il possesso esercitato dai genitori sul bene del figlio), malgrado l’onere probatorio – che grava su colui che intende far accertare l’acquisto per usucapione – risulti essere particolarmente complesso.
Caso pratico
Un pratico esempio ci aiuterà a comprendere meglio la questione: immaginiamo che il figlio venga autorizzato ad accedere nell’immobile dei genitori, decidendo, poi, autonomamente, di fissare la propria residenza presso tale abitazione; il padre e la madre, dal canto loro, pur consapevoli della condotta tenuta dal ragazzo, adottano nell’arco dei successivi venti anni un contegno remissivo, omettendo di rivendicare il proprio bene. Ebbene, qualora il giovane, nel corso del periodo utile ad usucapire l’immobile, non si sia limitato ad una sua semplice fruizione dello stesso, ma abbia in aggiunta eseguito al suo interno dei lavori di ristrutturazione, perimetrato il giardino mediante l’innalzamento di muri, installato un cancello, ampliato lo spazio abitabile ecc., come se fosse il vero e solo proprietario del bene: dunque, dinanzi ad un contesto così connotato, per il figlio-possessore aumenterebbero certamente le possibilità di ottenere in giudizio una sentenza che accerti l’avvenuta usucapione dell’abitazione.