
In materia di malasanità merita particolare attenzione l’ordinanza n. 11112/2020, con la quale i giudici di legittimità hanno fornito importanti chiarimenti sulla dibattuta tematica del risarcimento del danno da mancata prestazione del consenso informato da parte del paziente.
La Suprema Corte, ha dunque reso un nuovo importante arresto a distanza di circa un anno dalla sentenza n. 28985/2019, con cui aveva già affrontato la questione. Con l’ordinanza oggetto di disamina la Cassazione ha, però, fatto chiarezza sui presupposti necessari al risarcimento dei pregiudizi derivanti dalla mancanza di consenso alla pratica sanitaria, nell’ipotesi in cui il medico abbia adottato una condotta non colposa.
Il casus decisus
Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine da un intervento chirurgico eseguito appunto nel pieno rispetto delle leges artis, ma senza la preliminare acquisizione del consenso informato della paziente. In particolare, la donna lamentava il fatto di non aver ricevuto alcuna informazione circa la natura dell’intervento a cui sarebbe stata sottoposta, né tantomeno in merito alle possibili complicanze (prevedibili e non prevedibili) che sarebbero potute derivare da tale pratica sanitaria. Per tali ragioni, ha promosso un’azione risarcitoria avverso la struttura e il sanitario che ha materialmente eseguito l’intervento.
Sia il giudice di prime cure che la Corte di merito si sono determinate nel senso di accogliere la domanda proposta dall’attrice, condannando i convenuti al risarcimento dei danni dalla stessa patiti. Segnatamente, la Corte d’Appello procedeva alla liquidazione in via equitativa del danno sofferto dalla paziente riconoscendole gli importi che la stessa avrebbe avuto diritto a conseguire ove fosse stato liquidabile, in suo favore, un risarcimento per la lesione del diritto alla salute, emendando, tuttavia, l’entità degli importi stabiliti dal Tribunale con una riduzione del 20%.
Eppur tuttavia, a parere della Cassazione, nel caso di specie ricorrevano le “sole” condizioni sufficienti al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da lesione della “libertà di autodeterminazione in ambito terapeutico” avente natura di danno non patrimoniale, da liquidarsi secondo equità.
Nello specifico, i ricorrenti hanno censurato la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui era stato liquidato a titolo di danno da lesione della libertà di autodeterminazione un importo in parte coincidente con quello che sarebbe stato riconosciuto in favore della paziente nel caso di lesione del diritto alla salute.
Alla luce di quanto innanzi, gli Ermellini accoglievano quindi il ricorso spiegato dalla struttura ospedaliera rinviando la causa alla Corte di Appello affinché, avuto riguardo del principio sopra enunciato, si procedesse alla corretta quantificazione del danno.
La capacità plurioffensiva dell’omessa informazione
Come già anticipato, con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha ritenuto sussistente, in favore della paziente, il solo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione della libertà di autodeterminazione terapeutica, pur ribadendo come l’omissione informativa abbia un’astratta attitudine plurioffensiva.
La decisione in esame, si inserisce infatti nel solco interpretativo già tracciato Corte di Cassazione con la precedente pronuncia n. 28985/2019, con cui aveva espressamente statuito che “anche l’inadempimento dell’obbligazione avente ad oggetto la corretta informazione sui rischi-benefici della terapia venga ad inserirsi nei fattori “concorrenti” della stessa serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo pertanto riconoscersi alla omissione informativa un’astratta capacità plurioffensiva”.
Orbene, a parere della Cassazione, anche in presenza di un atto terapeutico necessario ed eseguito dal professionista secundum legem artis, ove il paziente non venga adeguatamente informato, il medico potrebbe essere chiamato a risarcire il danno alla salute se il soggetto leso dimostri che, ove compiutamente (e previamente) informato, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento sanitario ovvero sarebbe stato in grado di conseguire quella preparazione necessaria a fronteggiare adeguatamente il periodo post-operatorio, accettando le eventuali sofferenze.
Preme sul punto rammentare che, alla luce dei noti criteri di riparto previsti dall’art. 2697 c.c., incombe sul paziente leso l’onere di dimostrare che la sua scelta sarebbe stata, credibilmente, quella di rinunciare all’intervento oppure che il decorso postoperatorio sarebbe stato dallo stesso vissuto in maniera più serena, con la predisposizione ad accettarne gli eventuali risvolti negativi.
Quanto alla lesione del diritto alla liberta di autodeterminazione, la liquidazione deve avvenire – prosegue la Suprema Corte – sul piano prettamente equitativo; quanto alla lesione del diritto alla salute, se il paziente danneggiato riesce a dimostrare che in presenza di adeguata informazione avrebbe rifiutato l’intervento, dovrà essere opportunamente valutata dal giudice la situazione differenziale tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento e il preesistente stato patologico invalidante già sofferto dal paziente.
A tal proposito, la pronuncia in commento ha richiamato il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il calcolo del danno differenziale va operato stimando, prima, in punti percentuali, l’invalidità complessiva e, poi, quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro.
Osservazioni conclusive
Alla luce di quanto sopra esposto, la Suprema Corte di Cassazione, conformandosi ai suoi precedenti interventi, non ha fatto altro che avvalorare ulteriormente il suo orientamento su un tema assai dibattuto come quello della violazione del consenso informato.
La giurisprudenza di merito sarà dunque tenuta a fare concreta applicazione dei criteri sopra enunciati ai fini di una corretta quantificazione dei danni conseguenti alla violazione di un diritto fondamentale dell’individuo qual è il diritto alla libertà di autodeterminazione.