
Riveste particolare interesse il principio enunciato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 146/2018, con cui ha disposto che “Spetta al lavoratore provare l’inadempimento del proprio datore di lavoro, che in ogni caso non può essere ritenuto responsabile di una condotta abnorme o inopinabile del dipendente”.
Ebbene, in virtù di quanto disposto dell’art. 2087 c.c., Il datore di lavoro è tenuto “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Pur tuttavia, l’imprenditore non può essere ritenuto responsabile dell’infortunio del lavoratore provocato da una sua azione pericolosa posta in essere una volta conclusa la prestazione lavorativa e senza informarne il datore medesimo.
La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte prende le mosse dalla domanda giudiziale proposta da un dipendente con cui ha richiesto l’accertamento della responsabilità e la conseguente condanna al risarcimento del proprio datore in relazione all’infortunio occorsogli nell’estate del 2001.
Il sinistro si era verificato in fase di completamento dei lavori d’impianto di alcuni pali elettrici per conto dell’Enel, momento in cui l’attore rilevava la presenza di un ramo su un cavo elettrico; al fine di rimuoverlo saliva su una scala retta da un operaio, rovinando al suolo poco dopo.
Il Tribunale rigettava la domanda, poiché l’operaio non aveva provato il nesso tra l’inadempimento del datore di lavoro e l’infortunio subito; la sentenza del giudice a quo veniva confermata anche dalla Corte di Appello, la quale aveva respinto le domande del ricorrente in quanto gli operai “Avevano l’obbligo di interpellare il personale addetto nel caso in cui si fosse prospettato nel corso della attività lavorativa un ostacolo imprevisto; ma né l’infortunato né i suoi due compagni di lavoro avevano provveduto a tanto, non avendo in alcun modo chiesto alla società l’invio sul posto di apposita strumentazione idonea allo svolgimento in sicurezza, della non prevista operazione. In tal senso veniva esclusa anche la configurabilità di alcuna violazione a carico della società dell’obbligo di vigilanza sull’osservanza delle misure protettive da parte dei lavoratori”
La Suprema Corte, condividendo le conclusioni cui era pervenuta la Corte territoriale, ha escluso la responsabilità del datore di lavoro, atteso che lo stesso non aveva violato alcun obbligo di sicurezza, avendo, per converso, adottato tutte gli accorgimenti atti a prevenire l’evento dannoso; pertanto, il datore non poteva essere ritenuto responsabile allorquando l’infortunio, come nel caso di specie, dipendeva da una condotta abnorme tenuta dal lavoratore.
Segnatamente, i giudici di legittimità con la sentenza n. 146/2018 hanno statuito che: “Alla stregua dell’art. 2087 c.c. non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione anche in relazione a condotte del dipendente che, pur non rientranti nella nozione di inopinabilità e di abnormità, siano state poste in essere successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, perché non rientranti nella suddetta prestazione e perché effettuate senza darne allo stesso preventiva comunicazione secondo le direttive impartite. Corollario di tale principio è che la parte datoriale non incorre nella responsabilità di cui alla norma codicistica per non avere fornito le attrezzature necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione né di non avere esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti“.