Non c’è un’indebita duplicazione del risarcimento fra danno morale e biologico visto che non sono voci automaticamente sovrapponibili. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 2413 del 4 febbraio 2014, ha respinto il ricorso del Ministero dell’istruzione contro l decisione della Corte d’appello di Firenze che lo ha condannato al risarcimento dei danni patiti da un alunno che, durante lo svolgimento di una gita scolastica, con i compagni, si è arrampicato su una catena la quale ha ceduto facendo cadere a terra i bambini.
La terza sezione civile, osservando la sentenza 9346/2002 delle Sezioni unite ha ricordato che «La presunzione di responsabilità posta a carico dei precettori dall’art. 2048, secondo comma, Cc trova applicazione in relazione al danno causato dal fatto illecito dell’allievo nei confronti dei terzi; mentre in relazione al danno che l’allievo abbia cagionato a se stesso tale previsione non trova applicazione, poiché non può ritenersi esistente, in tal caso, un fatto illecito obiettivamente antigiuridico. In detta seconda ipotesi, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’istituto scolastico l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni. In siffatta ipotesi, quindi, la responsabilità del personale scolastico è regolata dall’art. 1218 Cc, sicché l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sulla controparte grava l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante».
Spiega la Corte «doveva escludersi la sussistenza della prova liberatoria in mancanza di elementi dai quali poter desumere la imprevedibilità del fatto e la sua conseguente inevitabilità, anche perché non era emerso che i docenti accompagnatori avessero adottato misure idonee a evitare il verificarsi di eventi dannosi. D’altra parte, la «naturale vivacità dei ragazzi di tredici anni» faceva sì che l’uso improprio della catena non potesse considerarsi un evento imprevedibile per gli insegnanti».
Dunque, il danno biologico inteso quale lesione del diritto alla salute e il danno morale inteso quale sofferenza conseguente all’illecito non costituiscono, di per sé, voci automaticamente sovrapponibili, sicché la separata liquidazione delle stesse non determina, di per sé, alcuna indebita duplicazione: sebbene il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie di danno biologico e danno morale continuano a svolgere una funzione, per quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice al fine di dare contenuto e parametrare la liquidazione del danno risarcibile. Pertanto è erronea la sentenza di merito, la quale a tali sottocategorie abbia fatto riferimento, solo se, attraverso il ricorso al danno biologico e al danno morale, siano state risarcite due volte le medesime conseguenze pregiudizievoli (ad esempio ricomprendendo la sofferenza psichica sia nel danno “biologico” che in quello “morale”); se, invece, facendo riferimento alle tradizionali locuzioni, il giudice abbia avuto riguardo a pregiudizi concretamente diversi, la decisione non può considerarsi erronea in diritto.
Nel caso esaminato, la censura non specifica il perché ci sarebbe stata una duplicazione, limitandosi a contestare, in astratto, la possibilità di liquidare il danno morale separatamente da quello biologico.