La collazione è automatica al momento dell’apertura della successione

Con la sentenza n. 22721 del 25/09/2018, la Suprema Corte ha espresso il principio secondo cui l’obbligo di collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione mortis causa.

La vicenda sottoposta all’esame della Cassazione scaturisce dall’azione spiegata da una donna nei confronti delle sue congiunte (madre e sorella), tutte coeredi del de cuius, con cui ha richiesto che il giudice dichiarasse ambedue tenute alla collazione dei beni (un immobile e un’autovettura) ricevuti in donazione dal defunto, quando quest’ultimo era in vita.

Il Giudice di prime cure accoglieva la domanda attorea, mentre la Corte Territoriale ribaltava la decisione e respingeva la domanda di collazione dell’appartamento.

L’appellante proponeva ricorso per Cassazione, ritenendo che era possibile disporre il conferimento solo per imputazione, atteso che gli immobili erano stati divisi consensualmente tra le due figlie, per cui non erano suscettibili di ulteriore divisione, risultando questa successiva manifestazione di volontà in contrasto con il conferimento in natura.

La Suprema Corte riteneva fondato detto assunto, non condividendo le conclusioni della Corte territoriale, che non poteva non tener conto di un’esplicita scelta manifestata dalle donatarie e favorire il conferimento in natura degli immobili donati.

La collazione ereditaria – ricorda la Cassazione – è tesa alla formazione della massa ereditaria da dividere in modo tale che venga garantita parità di trattamento tra i coeredi e non venga alterato il rapporto tra il valore delle quote.

I Giudici di legittimità hanno rammentato che l’obbligo di collazione sorga automaticamente al momento dell’apertura della successione, a prescindere da un’espressa domanda dei condividenti e si realizza per i mobili, mediante imputazione e, per il denaro, mediante il prelievo di una minor quantità di denaro che si trova nell’eredità da parte del soggetto tenuto al conferimento; nel caso di insufficienza delle somme, mediante il prelevamento da parte degli altri coeredi, di beni mobili o immobili ereditari, in proporzione delle quote rispettive, sempre che il donatario non intenda conferire altro denaro o titoli di Stato.

Gli Ermellini hanno, ancora, rilevato che con riferimento ai beni immobili, la collazione può avvenire per imputazione o in natura, in base alla scelta di chi deve conferire, eccetto che l’immobile donato non sia stato ipotecato o venduto, in questo caso, al fine di preservare la posizione dei creditori ipotecari o degli acquirenti, si deve procede necessariamente per imputazione.

 

La Suprema Corte ha poi precisato che il conferimento per imputazione è la forma classica in cui si realizza la collazione e, al contrario, il conferimento in natura rappresenta una modalità secondaria, ammissibile soltanto per i beni immobili e che può verificarsi, esclusivamente, in base ad una scelta riservata al donatario, su cui non possono influire né la scelta del donante né gli altri coeredi, essendo consentita nell’esclusivo interesse di chi è tenuto al conferimento.

 

La Corte ha, ancora, evidenziato che in presenza di una donazione fatta in vita ad uno dei coeredi l’apertura della successione non determina l’automatica risoluzione dell’atto di liberalità e, con riferimento ai beni immobili, il donatario conserva il potere di disporre del bene, potendo venderla anche dopo l’apertura della successione, nel qual caso la collazione ha luogo per imputazione.

 

Pertanto, solo qualora il donatario preferisca il conferimento del bene in natura, ai sensi dell’art. 746 c.c., co. 1, la donazione va annullata poiché, in tal caso, il bene oggetto di donazione cessa di essere di proprietà dell’erede beneficiario e rientra nella comunione ereditaria, che quindi viene accresciuta; tale effetto che non si determina nella collazione per imputazione, in quanto il bene resta in proprietà del donatario in forza della donazione ricevuta,  fermo l’obbligo di versare alla massa l’equivalente monetario.

 

Per tali motivi, la Suprema Corte cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale.