
La Suprema Corte, con la recente ordinanza del 23 aprile 2018, ha enunciato il principio secondo cui nel giudizio di divisione ereditaria è onere della parte, e non del CTU, indicare i beni facenti parte della massa ereditaria.
In primo luogo, giova rammentare che la divisione ereditaria è l’atto con cui i coeredi sciolgono la comunione dei beni ereditari; in altri termini, i beni vengono frazionati in proporzione alle quote di ciascun coerede;
La divisione ereditaria può essere consensuale, quando tutti i coeredi si accordano sulla ripartizione dell’asse ereditario oppure giudiziale nell’ipotesi in cui i coeredi non riescano a pervenire a un accordo e instaurano, dunque, un giudizio di divisione. Ai sensi dell’art. 713 c.c., la divisione ereditaria può essere iniziata da ciascun coerede.
Il caso sottoposto al vaglio della Cassazione deriva dalla domanda di divisione ereditaria presentata da una dei coeredi, con cui aveva richiesto altresì che a mezzo di CTU venisse formata e valutata la massa ereditaria composta da alcuni terreni e da un immobile indivisibile abitato dal fratello. Il Tribunale di primo grado aveva disposto lo scioglimento della comunione assegnando l’immobile alla sorella e i terreni al fratello. Aveva stabilito, altresì, una somma che la sorella doveva dare al fratello a titolo di conguaglio. Il fratello proponeva appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado nominando il CTU per l’esatta quantificazione dell’asse ereditario in applicazione anche delle norme sulla Collazione. La Corte di Appello rigettava il ricorso confermando quanto statuito nella sentenza di primo grado e condannando l’appellante al rilascio dell’immobile.
Il fratello pertanto proponeva ricorso in cassazione contestando il fatto che il C.T.U. non avrebbe correttamente identificato la massa ereditaria, perché avrebbe omesso di cercare, individuare e valutare i beni mobili facenti parte di essa, con conseguente incidenza, oltre che sulla collazione, anche sulla quantificazione del conguaglio.
Secondo i giudici di legittimità “non era onere del C.T.U., oppure funzione e finalità della consulenza tecnica d’ufficio, andare alla ricerca dei mobile e delle somma di cui la sorella si sarebbe appropriata; oppure delle donazioni in vita da parte del genitore e di cui la figlia avrebbe beneficiate. Quindi tali circostanze andavano provate dalla parte interessata.”
La Suprema Corte, infatti, richiamando precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità, ha confermato che la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. n. 3130 del 2011; conf. Cass. n. 12990 del 2013).
La Corte, dunque, ha sottolineato che è onere della parte effettuare un’esatta individuazione dei beni facenti parte dell’asse ereditario, non potendosi la parte sottrarsi a detto incombente probatorio, né la stessa può pretendere di supplire alla propria mancanza richiedendo l’intervento del CTU.
Ad avviso della Cassazione, quindi, il CTU può effettuare correlate indagini peritali ma solo su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone.
Resta quindi onere della parte indicare l’esatta consistenza della massa ereditaria, non potendo sopperire alla propria inerzia rimettendo al CTU il compito di ricercare i beni che formano l’asse ereditario.