
La Suprema Corte, con la sentenza n. 3512 del 6 febbraio 2019, occupandosi della questione concernente la divisione di beni in comproprietà appartenenti a distinte comunioni, ha stabilito che è possibile procedere ad una sola divisione, e non a tante divisioni quante sono le masse, soltanto se tutte i comproprietari vi consentano con un accordo; tale intesa, però, deve materializzarsi in un negozio specifico che, se ha per oggetto beni immobili deve avere la forma scritta ad substantiamex art. 1350 c.c., non potendo, di contro, risultare da manifestazione tacita di volontà o dal mero comportamento negativo di chi non si oppone alla domanda giudiziale di divisione unica delle diverse masse.
Generalmente, il titolo che determina la nascita della comunione è unico: ad esempio, la comunione si costituisce in seguito alla morte di un unico soggetto a cui subentrano più eredi oppure è possibile che un bene sia stato acquistato in comunione da diversi soggetti. Inoltre, spesso capita che in presenza di diversi titoli costitutivi della comunione i comproprietari coincidono in tutto o in parte.
Ebbene, in base al principio “dell’autonomia delle masse plurime”, nel caso in cui le comunioni provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quante sono i titoli costituivi, quindi, alla pluralità di titoli corrisponde una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’ autonoma entità patrimoniale.
Pertanto, in caso di divisione del complesso (ossia di comunioni derivanti da titoli diversi) si hanno, in sostanza, diverse divisioni, ciascuna relativa a una massa nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli relativi alle altre masse.
Inoltre, nell’ambito di ciascuna massa, debbono trovare soluzione i problemi particolari concernenti la formazione delle porzioni e la comoda divisione dei beni immobili.
A fronte di tale situazione, la Suprema Corte è nuovamente intervenuta con la sentenza in commento, affermando che è legittimo il cumulo in un unico processo delle domande di divisione delle distinte masse, ma sempre nel rispetto del principio “dell’autonomia delle masse”.
In altri termini, il giudice di legittimità ha precisato che l’ammissibilità di un unico procedimento di divisione non comporta però l’unificazione delle diverse comunioni, le quali restano comunque distinte.
In particolare, secondo gli Ermellini, nell’ipotesi di divisioni di beni in comproprietà proveniente da titoli diversi e, perciò, appartenenti a distinte comunioni, “è possibile procedere a una sola divisione, piuttosto che a tante divisioni per quante sono le masse, solo se tutte le parti vi consentano con un atto che, risolvendosi nel conferimento delle singole comunioni in una comunione unica, non può risultare da manifestazione tacita di volontà o dal mero comportamento negativo di chi non si oppone alla domanda giudiziale di divisione unica di tutti i beni delle diverse masse, ma deve materializzarsi in un negozio specifico che, se ha per oggetto beni immobili, deve rivestire la forma scritta “ad substantiam”, perché rientrante tra quelli previsti dall’art. 1350 cod. civ.; conseguentemente, in mancanza di un siffatto negozio, il comportamento tenuto dalla parte che non si è opposta alla domanda di divisione unica nel giudizio di primo grado non impedisce a quest’ultima di proporre appello per denunciare la sentenza che ha accolto tale domanda”.