danni da emotrasfusione: l’indennità spetta solo ai familiari a carico

Con la recente sentenza dell’11 maggio 2018 n. 11407, la Suprema Corte di Cassazione ha specificato i presupposti in virtù dei quali procedere all’identificazione dei soggetti legittimati a ricevere l’indennità una tantum nell’ipotesi di decesso di un congiunto causato da malattia contratta a seguito di trasfusioni, vaccini e/o prelievi.

La vigente normativa concernente i soggetti legittimati a richiedere il suindicato l’indennizzo si ricava dai disposti normativi previsti alla Legge n. 210/1992, nonché dalle disposizioni contenute nella successiva Legge n. 238/1997, che ha integrato e modificato i cui contenuti della prima.

Un confronto fra i due testi normativi evidenzia l’ampliamento dell’ambito di applicazione soggettivo dell’indennità una tantum. Ed invero, nella L. n. 210 del 1992, aventi diritto risultano essere: coniuge, figli minori, figli maggiorenni inabili al lavoro, genitori, fratelli minori, fratelli maggiorenni inabili al lavoro; nella L. n. 238 del 1997 esso viene così ridefinito: coniuge, figli, genitori, fratelli minorenni, fratelli maggiorenni.

Potenziali aventi diritto sono pertanto tutti i figli e i fratelli a carico, indipendentemente dalla loro età e dalla loro capacità lavorativa, mentre nulla si aggiunge con riguardo alle categorie del coniuge e dei genitori.

Orbene, secondo la Suprema Corte il vincolo determinato dalla “convivenza” o “vivenza a carico”, rappresenta il cardine della legislazione, senza il quale la giustificazione stessa della misura assistenziale verrebbe meno; I giudici di legittimità hanno poi specificato che, sebbene tale vincolo sia espressamente indicato nella normativa del 1992 e non richiamato in quella del 1997,  esso deve comunque essere considerato imprescindibile; la Corte ha evidenziato, infatti, che il diritto al conseguimento dell’indennizzo non è legato al vincolo successorio con la vittima, bensì, piuttosto, al vincolo di convivenza, per il quale gli aventi diritto si trovano a patire, per colpa dello Stato, la perdita oltre che affettiva, altresì economica del venir meno di un congiunto.