Cosa fare se la pubblica amministrazione resta in silenzio?

Il silenzio è un fatto disciplinato dalla legge. È noto che esso, in alcuni casi, venga considerato come un “consenso” mentre, in altri casi,  come “rifiuto” o “rigetto”.

Con riferimento al silenzio manifestato dalla pubblica amministrazione –  Stato e dagli altri gli enti pubblici – la legge si è curata di dare uno specifico significato, e ciò a causa della considerevole mole di lavoro che affligge determinati uffici e che potrebbe portarli a un grave ingolfamento se dovessero rispondere a tutte le istanze e richieste presentate dai cittadini.

Tale questione, però, deve essere esaminata distinguendo due differenti ipotesi, ossia:

  • i procedimenti amministrativi che iniziano con una istanza del cittadino: è il caso in cui il privato si rivolge all’ente e pone una specifica richiesta (ad esempio la richiesta di un permesso di costruire);
  • i procedimenti amministrativi che iniziano d’ufficio, ossia su iniziativa della stessa P.A. (si pensi a un accertamento fiscale).

Nei rapporti con enti e pubbliche amministrazioni, la regola generale per tutti i procedimenti che iniziano con un’istanza del cittadino è quella del silenzio assenso; in altri termini, se il privato presenta una richiesta e non ottiene alcuna risposta, la stessa si deve considerare accolta. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi del permesso di costruire, il quale si considera accordato se il cittadino riceve risposta nei termini di legge.

Sebbene tale regola abbia una portata generale, il legislatore ha previsto un gran numero di eccezioni. In particolare, nei seguenti procedimenti vale l’opposta regola del silenzio rigetto (o silenzio diniego):

  • il patrimonio culturale e paesaggistico;
  • l’ambiente;
  • la difesa nazionale;
  • la pubblica sicurezza;
  • l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza;
  • la salute e la pubblica incolumità;
  • i casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali;
  • i casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza;
  • gli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro per la Funzione Pubblica, di concerto con i ministri competenti.

Nei procedimenti amministrativi che vengono avviati d’ufficio, ossia senza iniziativa del privato, vale la regola opposta, vale a dire quella del silenzio rigetto. Quindi, se un privato presenta alla polizia una richiesta di annullamento di una multa che ritiene illegittima, ma non ottiene risposta, la sua domanda si considera rifiutata. Se si chiede lo sgravio di un cartella di pagamento e l’esattore non risponde, la richiesta si considera rigettata.

Nondimeno, se la pubblica amministrazione non risponde nei termini, per quanto il suo silenzio sia considerato rigetto, non è detto che ciò sia imputabile a una precisa scelta, in quanto potrebbe infatti dipendere semplicemente da inerzia o inefficienza. Ecco perché il cittadino può sempre impugnare, davanti al giudice amministrativo (il Tar) il silenzio rigetto.

Esistono, altresì, ipotesi in cui la P.A., di fronte alla richiesta di un provvedimento da parte del privato, non provvede nei termini previsti dalla legge (o da regolamento) e questa non contiene alcuna indicazione sul valore da attribuire al silenzio. Ebbene, in tutte queste eventualità, al fine di tutelare il cittadino danneggiato dall’inerzia della P.A., la legge prevede che, decorsi i termini per la conclusione del procedimento, e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere:

  • il risarcimento del danno;
  • l’accertamento dell’obbligo della pubblica amministrazione di provvedere.

La domanda di risarcimento (per lesione di interessi legittimi) va avviata entro il termine di decadenza di 120 giorni. Il termine decorre dal giorno in cui scade il termine entro il quale la P.A. avrebbe dovuto provvedere. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti. Non è dovuto il risarcimento per quei danni che il cittadino avrebbe potuto evitare se avesse usato l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.

L’azione di accertamento dell’obbligo della P.A. è volta a ottenere l’esecuzione forzata dell’obbligo. Essa può essere proposta finché perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di conclusione del procedimento.

Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni.

Il giudice può nominare, laddove occorra, un commissario ad acta direttamente con il provvedimento con cui definisce il giudizio o, successivamente, su istanza dell’interessato.