
Con l’ordinanza del 26 febbraio 2019, n. 5648, la Cassazione ha confermato il principio in base al quale non è necessario dimostrare con la c.d. prabatio diabolicala proprietà del bene rivendicato, nel caso in cui il bene conteso, tra il possessore e colui che assume di esserne il proprietario derivi da un comune dante causa.
Indice
Il caso
La vicenda rimessa al vaglio della Suprema Corte trae origine da un’azione di rivendicazione proposta da due coniugi tesa a recuperare la un immobile posseduto da un altro soggetto.
I primo giudice rigettava la domanda di rivendicazione, ritenendo che gli attori non avessero adempiuto sull’onere probatorio sugli stessi gravante; in altri termini, secondo il Tribunale adito, la coppia non era riuscita a dimostrare di aver acquisito, a titolo originario, la titolarità del diritto proprietà su tale bene.
Sennonché, i soccombenti interponevano appello avverso la sentenza di prime cure e la Corte di Appello, accoglieva il gravame ordinando al possessore di restituire l’immobile.
Il possessore proponeva dunque ricorso dinanzi alla Suprema Corte, contestando la sentenza resa dalla Corte territoriale nella parte in cui la stessa abbia ritenuto assolto l’onere della prova necessario a fondare l’azione di rivendicazione con la produzione dell’atto di acquisto delle parti dall’unico dante causa, la società costruttrice dell’edificio, trascurando, di contro, le diverse risultanze catastali.
La pronuncia della Suprema Corte
Gli Ermellini, con ordinanza in esame hanno precisato che la necessità di dimostrare con la c.d. probatio diabolicala proprietà del bene rivendicato, propria dell’azione di rivendicazione, trova un’eccezione qualora il bene conteso provenga da un dante causa comune.
Ed invero – ha precisato la Suprema Corte – nel casi in cui, come quello di specie, si proponga un’azione volta a rivendicare la proprietà esclusiva di un immobile appartenuto originariamente a un unico soggetto e successivamente alienato separatamente a più acquirenti, è sufficiente provare la validità del proprio titolo di acquisto e l’appartenenza del bene allo stesso dante causa del convenuto.
Il principio di diritto
Pertanto – ha aggiunto la Cassazione – la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui “nell’azione di rivendicazione il rigore della prova della proprietà è attenuato se il convenuto riconosca che il bene rivendicato apparteneva un tempo ad una determinato persona, essendo sufficiente, in tal caso, che il rivendicante dimostri, mediante gli occorrenti atti di acquisto, il passaggio della proprietà da quella determinata persona sino a lui”. Ebbene, allo scopo di rendere detta dimostrazione, non è necessaria, né sufficiente, la prova della continuità delle risultanze catastali e ipotecarie, trattandosi di forme di pubblicità prive di effetti costitutivi sulla titolarità del diritto dominicale
Per le ragioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso.