Assegno ridotto all’ex moglie che non cerca un lavoro idoneo dopo la fine del matrimonio

Ridotto l’assegno divorzile all’ex modella, che non si attiva a trovare un lavoro idoneo dopo la fine del matrimonio, considerata la negativa incidenza dell’età per riprendere l’attività di indossatrice. Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza n. 2546, pubblicata oggi dalla prima sezione civile. Il collegio di legittimità respinge il ricorso di una donna contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva stabilito che fosse ridotto l’assegno divorzile in suo favore. La donna, di professione indossatrice prima del matrimonio, si era completamente dedicata alla cura delle figlie e del marito benestante. I giudici di secondo grado aveva accertato l’alto tenore di vita goduto dai coniugi e la perdita di disponibilità economica conseguente alla fine dell’unione. L’ex ‘mannequin’ non avrebbe più potuto riprendere a sfilare, considerata l’età e la mancanza di altra specifica formazione professionale. Ma la Corte territoriale, nel quantificare la somma da corrisponderle, ha considerato che 34 anni (età della donna all’epoca della separazione) erano non pochi per continuare a fare l’indossatrice, ma le permettevano di cercare altre occupazioni, perché ancora nel pieno della sua capacità lavorativa. 

Le due fasi dell’assegno divorzile

La Cassazione si allinea alle motivazioni dei giudici di secondo grado, richiamando l’articolo 5 della legge sul divorzio. «In tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall’art. 5 della l. n.898/1970, l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e a procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno». Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno «in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso articolo 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare

incompatibile con detti elementi di quantificazione». 

Fasi che sono state correttamente esplicate, ad avviso della Cassazione, dalla Corte capitolina che ha dapprima, «nell’accertamento dell’an dell’assegno, fatto riferimento all’oggettiva impossibilità della signora di ricostituire con i suoi propri mezzi il livello di vita pregresso, per le ragioni già indicate; quindi, una volta accertata la sussistenza del diritto in capo alla stessa, il giudice di secondo grado, nella determinazione della misura di tale assegno, ha dato rilievo anche al carattere volontario del mancato reperimento da parte della donna di un’attività lavorativa remunerata sì da contribuire al proprio mantenimento». Affermazione, quest’ultima, che la Corte ha ritenuto «suffragata» proprio dal mancato impegno della donna, nel periodo immediatamente successivo alla separazione – in cui aveva un’età che le avrebbe ancora consentito di dedicarsi al lavoro più confacente alle sue possibilità – a trovarsi un’altra occupazione.

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